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Henri Chopin – Les riches heures de l’Alphabet

20 Febbraio 1996

20 febbraio 1996 
OPENING 20 FEBBRAIO ORE 19:00
Palazzo dello Spagnuolo
Via Vergini 19, Napoli

Incontro con Henri Chopin e Stelio Maria Martini e presentazione del libro “Les mirages des 27”

Il lungo e coerente lavoro di Henri Chopin (di cui Peppe Morra, nelle sale dell’Istituto di Scienze delle Comunicazioni Visive, propone una selezione) può essere letto ricorrendo ad un verso baudelairiano che compare in calce ad un “disegno” realizzato dall’artista francese nel 1983. Vi si parla di impertinenza venata di modestia.
C’è impertinenza nel voler ripensare all’alfabeto, nel desiderio di inventare un linguaggio post-alfabetico. Tra i fondatori del gruppo di poesia sonora, legato ai protagonisti del Letrismo, Chopin – come dimostra bene il suo suggestivo “Librodore”, Les mirages des 27, pubblicato in questa occasione da Morra (per la cura di Stelio Maria Martini) – è convinto che bisogna superare le “regole” alfabetiche, per riflettere sul senso grafico e semiotico delle singole lettere. E’ così che Chopin arriva a cogliere le “potenzialità visive” delle parole che vanno in “tutti i sensi”, ovunque, illimitatamente. A guidare la scrittura, le lettere, e le loro “visioni”, sono i suoni che non condizionano, nè costringono. La phonè, le parole, sono più “grandi” e antiche della scrittura: anche la vita è “visibile, sonora”; “E ciò basta a invitarci alla creazione di favolose biblioteche”. Biblioteche in cui non ci siano “pensieri distesi sulla terra”, o Bibbie, o ideologie che “impongono una livrea”, ma alfabeti astratti e concreti “come l’uomo o l’albero”… Perciò anche i lavori ora esposti all’I.S.C.V. appaiono come un invito a trasgredire “nel suono e nella figura” la parola, per riuscire a guardare oltre, verso “panorami sconosciuti”, fino ad approdare ad un “altro modo di scrivere”, a “nuove musiche”, a “nuove poesie”. Bisogna riscoprire i segni, scrive Chopin, secondo il quale “il linguaggio è un luogo, infinito (…) e ogni poeta che lo serve è una pagina della sua storia”.
Ogni lettera, prima che portatrice di significato, è un segno, una forma. La B è un rosone, una cattedrale, uno scheletro; la C può esprimere “tondi, prismatici, miriadi inconcepibili”; la D crea “favolosi reticoli”; la F è un uncino; la G è un idiogramma, una “inanerrabile danza”; la M è una “costruzione lunga che raffigura viadotti irrimediabili o costruisce lunghe muraglie, in cui le curve disegnano montagne russe”; la S definisce una danza intrecciata; la T è meravigliosamente netta; la V è infinita nei suoi due “segnetti”; la X è un incrocio di strade; la Z, nelle sue tre “zebrature” orizzontali e diagonali, è “segno folgorante”. Un posto a parte merita la E, simbolo cinetico, che produce effetti ottico-cromatici. Le lettere dell’alfabeto (ma anche i numeri), sono, anzitutto, delle grafie che si aprono e che si possono moltiplicare all’infinito, dando vita a complessi arabeschi. Chopin sfrutta gli elementi verbali a un fine poetico-visuale; utilizza l’elemento dell’alfabeto per ottenere composizioni liriche. Ecco allora disporsi dinanzi ai nostri occhi un grattacielo, forme ispirate al 1984 di Orwell, a un boomerang, ad una efficace silhouette, a un muro, a impercettibili “moti dell’occhio…”.

Vincenzo Trione

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Data:
20 Febbraio 1996

Luogo

Palazzo dello Spagnuolo
Via Vergini, 19
Napoli, Italia
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