Biografia

Julian Beck è nato a New York City il 31 maggio 1925. Il suo talento di attore, scrittore, scenografo e regista teatrale si è ben presto rivelato negli anni Trenta, mentre frequentava la Horace Man High School, dove ebbe come compagni lo scrittore della beat generation Jack Kerouac e il vincitore del premio Pulizter per la letteratura Kenneth Kock.
Nel 1943 abbandonò gli studi alla Yale University, affermando che non poteva “più servire ciò in cui non credeva”, ossia il pensiero impostato secondo il sistema del mondo accademico, e fece ritorno a New York City, con l’intenzione di dipingere e scrivere. Quello stesso anno incontrò Judith Malina, che sarebbe stata la sua compagna per tutta la vita. Insieme fondarono il Living Theatre nel 1947 e da allora, in un arco di quaranta anni, realizzarono eventi teatrali di carattere costantemente sperimentale che hanno lasciato un segno profondo nella cultura occidentale di questo secolo.
Pittore della scuola dell’espressionismo astratto di New York, Julian espose accanto a Jackson Pollock e ad altre figure di rilievo di quel movimento alla galleria “Art of this Century” di Peggy Guggenheim e in altre galleria dal 1945 al 1958. In seguito, la scenografia divenne la forma nella quale decise di sviluppare il suo talento pittorico e che gli attirò il riconoscimento internazionale.
Nei tre locali che il Living Theatre occupò a New York dal 1951 al 1963 vennero realizzati 29 spettacoli, di cui Julian fu occasionalmente anche regista, oltre a progettare tutte le scene, le luci e i costumi e a recitare in gran parte di essi. Sostenuto con entusiasmo da figure eminenti del mondo dello spettacolo come John Cage, Merce Cunningham, Jean Cocteau e Paul Goodman, il Living Theatre offriva un’atmosfera di estrema libertà, che ne faceva l’ambiente ideale in cui artisti, poeti, scrittori e attivisti potevano incontrarsi e condividere il loro lavoro.
Dal 1959 in poi il Living Theatre, nella sua terza sede alla 14° strada a New York, si distinse come il luogo d’incontro dell’avanguardia: i poeti della beat generation, gli artisti dell’action painting, i registi del cinema underground, i compositori contemporanei come anche i musicisti del cool jazz…
Pacifista e anarchico, Julian Beck prese parte ad azioni di disubbidienza civile del movimento politico, il che gli costò in svariate occasioni arresti temporanei. Tra il 1960 e il 1963, insieme a Judith Malina, promosse lo Sciopero Generale per la Pace. Questo evento, ripetuto in due diverse occasioni, sfociò in manifestazioni pubbliche di massa che non riguardarono solo New York e San Francisco ma suscitarono adesioni anche in Europa, come ad esempio quella del premio Nobel per la pace Bertrand Russell.
Gli Scioperi per la Pace, che avevano nel Living Theatre il loro quartier generale, coinvolgevano attivamente la maggior parte dei membri di quest’ultimo nella preparazione delle manifestazioni che culminarono nel 1963 con l’apertura di uno spettacolo dell’ex-marine Kenneth H. Brown, intitolato The Brig. Denunciando i maltrattamenti subiti da marines americani da parte di marines americani nelle case di correzione militari, lo spettacolo provocò l’apertura di un ‘indagine su tale questione da parte del Congresso e suscitò molte controversie, come risulta dalle pagine del “New York Times” e di “Life Magazine”.
In coincidenza con questi avvenimenti, l’Internal Revenue Service, col pretesto di alcune tasse non pagate (nonostante il Living Theatre fosse una compagnia senza scopo di lucro e quindi esente da tasse), chiuse i locali del Living. Julian e Judith finirono in tribunale, Pronti a difendersi personalmente, un gesto in sintonia con le posizioni del movimento per i diritti civili di quel periodo, vennero condannati rispettivamente a 60 e a 30 giorni da scontare nella prigione federale di New York. Non era forse un invito per l’intera compagnia a scegliere la strada dell’esilio volontario?Dopo due tour europei nel 1961 e nel 1962, la compagnia era già nota a livello internazionale come esempio espressivo del nuovo teatro americano, il movimento off-Broadway, aveva vinto molti premi e si era attirata molto lodi. Quando fece ritorno in Europa nel 1964, ricevette un’accoglienza estremamente calorosa da parte del pubblico di vari paesi, per la controcultura delle sue origini e dell’esempio offerto. A quel tempo Julian e Judith erano già molto noti per le loro coraggiose affermazioni in ambito artistico e politico, sottolineate dagli aspetti audaci delle loro produzioni, discusse ma molto acclamate.
Il sogno che Julian e Judith nutrivano fin dagli anni Cinquanta, quello di una compagnia che si assumesse l’impegno di svolgere tutte le funzioni necessarie a creare un repertorio di spettacoli, facendo anarchicamente a meno delle figure del produttore e del regista, si realizzò soltanto durante l’esilio europeo. Fu tra il 1964 e il 1968 che la compagnia, viaggiando di paese in paese, realizzò la propria natura tribale, nomade, di gruppo di artisti aperto al pubblico, interessato a suscitare scintille di consapevolezza politica.
I primi spettacoli creati dai suoi membri, Mysteries and Smaller Pieces (1964), Frankenstein (1965) e Paradise Now (1968), un repertorio variato, fecero assumere al Living Theatre un ruolo di rilievo come innovatore del teatro occidentale contemporaneo.
La poesia di Beck offrì un grande contributo al formarsi di queste creazioni collettive. Il suo primo libro di poesie – Songs of the Revolution – uscì nel 1963 a New York. Con lo stesso tiolo sono apparse nuove edizioni di questa serie di poesie, che Julian avrebbe continuato a scrivere per tutto il resto della sua vita, in inglese, francese, tedesco e olandese, lungo tutti gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Con Judith Malina scrisse We, The Living Theatre, in collaborazione con Gianfranco Mantegna e Aldo Restagno; Entretiens avec le Living Theatre, in collaborazione con Jean-Jacques Lebel e Il lavoro del Living Theatre. Come attore cinematografico Julian è apparso in molti film degli anni Sessanta, come Edipo Re di Pier Paolo Pasolini e Agonia di Bernardo Bertolucci.
Dopo un anno di sperimentazione teatrale in strada, in Brasile, tra il 1970 e il 1971, cui seguirono l’arresto e l’espulsione del Living Theatre da parte del regime militare, Julian tornò negli Stati Uniti e pubblicò The Life of the Theatre, di recente riedito dalla Limelight Editions e apparso anche in edizione italiana, spagnola, francese e greca.
A stretto contatto con lavoratori, studenti, artisti e attivisti, il Living Theatre operò negli Stati Uniti fino al 1975, quando fece ritorno in Europa, su invito della Biennale di Venezia. Realizzando rappresentazioni in strada e in ambienti non convenzionali, lavorando con festival del teatro e gruppi culturali alternativi, il Living Theatre divenne ancora una volta un gruppo itinerante per tutta l’Europa occidentale e orientale fino al 1983.
Le sue attività, contraddistinte dall’impegno politico, sfociarono nella creazione di più di 30 spettacoli, diversi per stile e durata. Seven Meditations on Political Sado-Masochism (1972), Strike Support Oratorium (1973), The Money Tower (1975) e Six Public Acts to Transform Violence into Concord (1975) rappresentano pietre miliari in questo senso. Julian Beck è l’autore di due spettacoli, Prometheus at the Winter Palace (1978) e The Archaelogy of Sleep (1983), che vennero messi in scena a New York nel 1984.
Colpito dal cancro nel 1983, trascorse I due anni e mezzo che precedettero la sua morte, avvenuta il 14 settembre 1985, recitando in film quali The Cotton Club (1984) di Francis Ford Coppola e Poltergeist II – The Other Side (1985) di Brian Gibson. Nel 1985, oltre ad apparire in serie televisive come Miami Vice e All my Children e in video d’arte di Nam June Paik, Julian calcò le scene per l’ultima volta con il monodramma di Beckett That Time al La Mama di New York e a Francoforte in Germania. (Era in programma una sua presenza alla Biennale di Venezia, quel settembre).
Il suo volume di poesie, Daily Light, Daily Speech, Daily Life, uscì in edizione bilingue in Italia, quello stesso anno. Julian ha lasciato il manoscritto Theandric sulla metafisica del teatro, per il quale ricevette una borsa di studio Guggenheim (il libro è stato pubblicato a Londra dalla Harwood Academic Publishers nel 1929, The Last Songs of the Revolution e un cospicuo numero di scritti che costituiscono quelli che definiva i propri Workbooks. Molti dei suoi quadri sono stati esposti alla Biennale di Venezia, in una mostra curata da Arturo Schwartz nel 1986. Una retrospettiva dei suoi dipinti è stata anche allestita da Dore Ashton alla Cooper Union nel 1986 e questa ha fatto seguito un’esposizione dei suoi disegni a pastello alla Bleeker Street Gallery, sia a New York che a Santa Fe, in New Mexico, nel 1993.
Dopo aver ricevuto numerosi premi per le sue realizzazioni in ambito teatrale, tra cui il Grand Prix of the Theatre of Nations, il New York Newspaper Guild’s Page One Award, la Brandois University Creative Arts Citation e una mezza dozzina di Obies, Julian Beck lasciò la scena culturale come artista di realizzazioni straordinarie e di esemplare integrità, e il lavoro da lui svolto nel corso di una vita intera ha ispirato generazioni di spettatori e di lettori in tutto il mondo.

A cura di Ilion Troy e Hanon Reznikov

Julian Beck, Antigone, 1980, Napoli © Fabio Donato

The Living Theatre. Labirinti dell’immaginario

2003

a cura di Lorenzo Mango e Giuseppe Morra
illustrato a colori/ Pag: 392 /Italiano e inglese

Prefazione

Julian Beck, il Pittore

Le questioni da chiarire sono molteplici: era davvero un genio o un sapiente orecchiante? Perché ha smesso, davvero? Come in poesia, nell’arte teatrale di regista, attore e scenografo,anche in pittura Beck è un autodidatta. La sua è un’insaziabile necessità d’espressione. Nulla è soddisfacente. “Ora dobbiamo affrontare diverse scelte e fronteggiare la confusione, siamo confusi… Di nuovo, la difficoltà nasce dalla personalità voglio-fare-tutto”, scrive nel 19S2. La smania di ricerca lo incalza (parafrasando Picasso lui scrive, Je ne trouve pas, je cherche). Se è innegabile che alle origini Beck abbracci la forma nota sotto l’etichetta di Action Painting considerarlo un espressionista astratto sarebbe un errore, perché, come molti artisti della sua generazione e molti delle successive. Beck è innanzi tutto figlio del Surrealismo e Dadaismo. Anche nell’astrazione più avanzata Beck è un romantico, un naturalista e per questo cita William Bazoties, il cui lavoro è a lui certo più vicino di quello di Pollock. Bazoties dice nei suoi diari: “Ogni volta che dipingo qualcosa c’è sempre un’immagine; a volte so cos’è, a volte no”.
Beck dipinge la spiritualità della natura, i fiori della mente, le rocce del paesaggio metafisico, splendenti come cristalli. Ma sulle sue folgoranti intuizioni pende sempre la spada di un inflessibile razionalismo al punto di dover essere obbligati a parlare di Julian Beck Scienziato e Filosofo. Ne “La Vita del Teatro” (1970-72) cita ancora una volta Judith Malina: “Non puoi fidarti dell’ispirazione. Non si può costruire una strategia per la creazione basata su qualcosa di tanto incerto”. II 1 settembre 19S2 scrive nel diario: “[non ho soldi per comprare forniture artistiche per dipingere] … ma ho realizzato disegni preliminari, ne ho fatto fino a 28 in un giorno”. Ma l’autocritica è sempre in lui; nello stesso diario, 15 giorni più tardi si legge: “Stasera ho distrutto molti dei miei quadri e disegni, più di 50”. Tra il 1943 e il 1958, date ufficiali che circoscrivono la sua carriera di pittore, da un suo catalogo personale risulta che Julian Beck ha prodotto esattamente 1505
tra tele e disegni su carta. Molto è andato perduto e quanto rimane oggi è solo la punto dell’iceberg. A quanto non ha pensato Beck stesso, ha provveduto il caso, sotto la forma di un paio di disastrosi allagamenti negli scantinati di amici accomodanti che avevano conservato i suoi lavori durante gli anni delle ripetute permanenze in Europa, Nord Africa e Brasile. Già nel 1947 Julian e Judith avevano iniziato a collaborare nell’opera teatrale e questa è la nota e legittima ragione per cui Beck ha abbandonato la pittura. A questo proposito aveva detto di aver deciso di “dedicare il [suo] tempo all’arte maggiormente sociale del teatro”. Ma la realtà è più complessa. La sirena e Musa del Teatro l’hanno avvinto per sempre, d’accordo. Ma Julian sa di più. Tutta l’arte è menzogna, compresa la poesia, con tutte le sue superbe liriche. “Meretricio!”, mi pare di sentirlo urlare. Nel teatro, almeno, c’è uno sbocco più largo. Più avvincente e universale. In ogni caso e in generale. “l’arte è rivolta. È la rivolta che fallisce” (‘La Vita del Teatro”).
Già nei tardi anni ‘50. l’Espressionismo Astratto è in crisi profonda, in crisi di esaurimento, con nuove forze di giovani turchi all’attacco: l’eccezionale Rauschenberg. Jasper Johns e Cy Twombly, per quanto ancora poco conosciuti. Ma ci sono altre ragioni: la Pop art (a cui da principio è stato ascritto anche Rauschenberg) picchia furiosamente alle porte. Artisti Pop, oltre ad Andy Warhol, sono anche Allan Kaprow e Claes Oldenburg, solo per citarne due. Finalmente, il vilipeso quadro di tela viene totalmente fatto esplodere, distrutto nel più scatologico e feroce attentato terroristico mai subito, la staticità della tela diviene vita con l’happening.
Possibile che Julian Beck se ne stia lì a guardare, vendendo libri usati di famiglia per racimolare quattrini con cui comprare tele e colori? Con Judith e lui, il Living sta volando già. Ma credo pure che Julian Beck, il profeta, avesse anche capito o intuito qualche altra cosa: chiamare arte menzogna può essere una posizione facile e immatura. Quando l’arte diventa uno strumento della Guerra Fredda, la faccenda preoccupa di più. Ma Julian, forse, l’aveva già sospettato quando – non ricordo precisamente l’anno, ma si era nei ‘50 – ruppe con Bill de Kooning trovando insostenibile il fatto di accettare munifiche sovvenzioni del Dipartimento di Stato, il rappresentante di quello che lui chiamava la “Democrazia Imperialista Dominante”.
Povero Beck, forse era già morto quando uscì il fondamentale libro dello storico d’arte canadese Serge Guibault dal titolo “How New York Stole the Idea of Modern Art: Abstract Expressionism, Freedom and the Cold War”. II titolo non ha bisogno di commenti, con grande furbizia il Governo americano, certo non gran sostenitore delle arti del tempo, trovò molto saggio usare l’ispirata libertà dell’arte astratta contro il bieco Realismo Socialista.
Julian Beck sospettava e rifiutava l’arte, ma senza essa non poteva vivere. La sua è sempre stata un’arte di  gioia prorompente: lui sape-va fin troppo bene che la creazione è una necessità umana, come il cibo e il tetto che protegge. L’arte è sempre un’arma, sia nelle mani della repressione che degli illuminati. La pittura di Beck era uno strumento di esaltazione e riflessione allo stesso tempo. Arte come strumento per costruire una grammatica e da lì arrivare alla sintassi. II segno è il codice del linguaggio. Un linguaggio nuovo senza cautele, che non ha preoccupazioni di stile o di adeguarsi a mode, né di essere universalmente originale.
Per questo il critico Philip Evans-Clark, oltre che un romantico l’aveva chiamato un “post-moderno”, capace anche di rendere spettacolare la spiritualità. Non solo in teatro, dobbiamo precisare. E l’arte, oggetto di tanti sospetti “è un aiuto per l’evoluzione, questa è la sua funzione tradizionale” scrive ancora Julian Beck (questa non è una nota giovanile, essendo del 1982). È la somma e la sola regola di tutta la sua vita.

Gianfranco Mantegna, 1994